Nell’articolo della scorsa settimana intitolato “Rebranding e denaro” ti ho accennato al fatto che lo scorso anno mi ero resa conto che era arrivato il momento di rivedere la mia immagine aziendale.
Era l’estate del 2018: come ti dicevo, il lavoro funzionava e non avevo bisogno di compiere grossi sforzi per far arrivare da me i clienti che riuscivo a seguire.
Sono però dell’idea che nel business chi si accontenta non gode affatto, nel senso che lasciare le cose al caso non è solo molto pericoloso. Rischia di essere mortale.
La ragione per cui, fino a quel momento, non avevo voluto considerare l’idea di un modello di business differente da quello che stavo attuando era che avevo come principio indiscutibile la personalizzazione dei miei percorsi.
Sono una consulente. Studio soluzioni su misura per le attività che affianco. Nessuna delle strategie che propongo ai miei committenti è uguale a un’altra perché lavoro con le persone e con i progetti che decidono di realizzare e questo è sacro, per me. Come il rispetto che gli porto.
D’altro canto, mano a mano che il numero dei miei clienti cresceva, mi rendevo conto che:
- da un lato, diventava sempre più sfidante riuscire a dedicare a ciascuno la cura e l’attenzione che mi ero ripromessa
- dall’altro, all’inizio della consulenza ricevevo delle domande basilari quindi ero costretta a ripetere più volte a persone diverse gli stessi concetti
Così mi sono resa conto che avrei potuto creare dei moduli trasversali e comuni da offrire come accesso alle consulenze.
Questo è stato lo spunto di partenza per rivedere il mio business model, e la ragione per cui a ottobre ho lanciato la versione beta del percorso “Compagne di Viaggio”.
Nell’esperienza di un libero professionista, di un’attività commerciale o di un progetto creativo rivedere le proprie convinzioni è salutare e rigenerativo. L’ho scritto in questi giorni a una cliente spaventata dall’idea di sbagliare nello scrivere il suo business model: nulla è scritto per sempre.
Mano a mano che un progetto si sviluppa, il business model (e di conseguenza anche il business plan) deve cambiare.
Accade perché siamo cambiati noi, perché sono cresciute la nostra consapevolezza e la nostra esperienza. Perché abbiamo nuove o più approfondite competenze. Perché c’è stata una pandemia o perché è cambiato il mercato di riferimento. Perché dopo anni di servizi vorremmo tanto lanciare un prodotto fisico. Mutare il target a cui ci riferiamo. Posizionarci diversamente grazie a un’offerta qualitativamente più alta.
Le ragioni sono tante e diverse, la conseguenza immediata è che devi rivedere il tuo business plan.
E una volta che hai modificato i tuoi piani aziendali, cambia necessariamente anche la tua comunicazione. Il che si traduce nel fatto che probabilmente avrai bisogno di rimettere concretamente mano anche alla tua visual identity e al sito.
Come dico sempre, si tratta di un processo circolare ed è bello che non abbia fine: perché ti costringe a discutere sempre gli assiomi e quindi ad andare in profondità. Questo apporta qualità a ciò che immetti nel mondo e porta con sé una crescita bella, vitale e costante.
La prossima settimana entrerò nel dettaglio di come si costruisce un business plan e torneremo a parlare di soldi, ovviamente.
Nel frattempo, ti svelerò gli effetti di questa grande revisione a cui ho sottoposto tutto il mio progetto (qualche spoiler lo sto già rilasciando e, se mi segui su Instagram, dovresti essertene accorta) e il 21 c’è l’evento del #BrandCampIta, online in questa prima edizione estiva.
Non vedo l’ora!